venerdì 24 aprile 2015

Il Market, un racconto di Luca Deriu

Il Market


Là davanti, qualche marocchino sorbiva la sua meritata birra calda e l’accattone chiedeva qualcuno dei pezzi di metallo che avevo in tasca. I tempi erano migliori qualche anno prima quando di marocchini ce ne erano a decine e tutti spacciavano, ma proprio tutti. Appena mi vedevano anche in lontananza era il finimondo; gente che fischiava, sbraitava, fischiava. Qualcuno si defilava sulla fascia facendomi segno di seguirlo, un altro mi veniva incontro proprio all’angolo della piazza. 

Quella volta non avrei comprato niente, non ne avevo bisogno, dovevo solo entrare nel market, per cui misi le mani sopra la testa e cominciai a dire che non volevo niente… ormai l’ingranaggio aveva cominciato a muovere i suoi denti… Antonio mi strinse la mano con la sua molto più grossa e scura della mia, rovinata da parecchi anni di lavoro nero e sopravvivenza: è significativo come molte persone non imparano niente dalla fame. Con i suoi lineamenti da nordafricano mi chiese quanto ne avrei voluto e dovetti ribadirgli che non era mia intenzione comprare niente, al più sarei passato dopo cena. Non potei fare a meno di guardarlo in viso e questo non mi piaceva; ogni volta spezzava la stecchetta con i denti e me la metteva in mano… il cordone di bava come mozzarella filante come se non se ne volesse separare… le sue labbra carnose mi evocavano sempre la stessa scena.

Mi congedai, gli altri lanciavano sguardi e facevano cenni, quelli si che la sapevano lunga. Affrettai il passo, mi sentivo a disagio, Occhio Di Vetro era l’ultimo piazzato di fianco alla porta scorrevole vendendo le sigarette di contrabbando. Quando gli fui vicino, cominciò a urlare.- Non c’è niente qui… vattene via…

E ancora altro, in netto contrasto con la situazione reale. Mi riparai nel market, al sicuro. Reminiscenze di tempi ormai passati e persi nell’oblio della storia se non mi fossi preso la briga di raccontarveli. Non c’erano più così tanti marocchini seduti in quella piazza a forma di piramide con nomi italiani da far accapponare la pelle: Antonio, Mattia, Alex Del Piero, Occhio di Vetro… questo era un soprannome, grazie a dio tutti erano soprannomi, ma Occhio di Vetro lo era di più.

Non voglio né annoiare né dilungarmi, per cui torniamo al nocciolo della questione. Quando entrai nel market, il pomeriggio era appena iniziato. La porta scorrevole strisciò con rumore liquido invitandomi a entrare. Non c’era molta gente all’unica cassa aperta, qualcuno si aggirava per gli scaffali. Non presi neanche il cestello, tanto dovevo prendere solo una cosa, anche se per raggiungerla dovevo fare quasi tutto il giro del negozio. Questo market è strano, decadente, puzza di vecchio ed è anche dannatamente caro. Negli scaffali c’è scritto un prezzo e nello scontrino ne trovi un altro, decisamente più alto. La frutta e la verdura danno il benvenuto al nuovo arrivato, lo scatolame fa gli onori di casa.

Sorvolai tutte le scansie, esitai solo in quella della birra: avevo pochi soldi e molta fretta e l’unica birra in offerta era di qualità imbarazzante. Certi posti ti spingono a desiderar di spendere più soldi del necessario. Era a fianco alla cassa, l’articolo che m’interessava, sì, proprio a fianco alle lamette ai cioccolatini al burro cacao e alle patatine: la confezione di preservativi.

Qual è il problema, vi chiederete a questo punto? Nessuno mi sentirei di rispondervi… eppure sembra strano, ma mi sentii un po’ in imbarazzo; sono timido io e spesso ho paura di essere nel torto anche quando ho ragione. Scelsi un pacco e lo misi sul nastro trasportatore. Eravamo in quattro; io, la cassiera, una donna che mi precedeva nella fila, e una bambina che veniva dopo di me.

Liquidiamo subito la donna perché le sue idee poco ci interessano. avrà sicuramente guardato con sdegno il pacchetto e pensato alla maniera puritana tipica delle donne cattoliche di cui tanto abbondiamo in Italia. Avrà pensato a suo figlio: lui no che non sarebbe entrato in un negozio a comprare un pacco di preservativi. Poi il dubbio incrinò la sua sicurezza… ma no, suo figlio non ha neanche vent’anni figurati se… poi avrà pensato a sua figlia; lei era un po’ più grandicella e così avrà pensato al suo ragazzo, che faceva come me… eh sì, lui sì che ne sarebbe stato capace.

Non gli era neanche troppo simpatico, aveva uno sguardo che sfuggiva. Ma neanche… solo una sensazione, non di ostilità, ma neanche di simpatia, non avrebbe saputo dire cosa: pregiudizio? Neanche lei era arrivata vergine al suo matrimonio, una nuova vita ingrossava il suo abito nuziale sopra l’addome… Cominciò a pensare a sua figlia avvinghiata al corpo di lui… se lei lo aveva fatto, perché non avrebbero dovuto loro, giovani e belli. Poi le carni si sarebbero imputridite e il desiderio sarebbe andato in pensione. Inaccettabile.

La donna raccolse la sua spesa nei sacchetti, pagò non prima di aver scambiato qualche battuta con la cassiera. Vi lascio solo immaginare cosa si possano esser dette. Ricordo solo che tentarono di essere simpatiche e questa è una cosa a me insopportabile.

Quella cassiera era sempre una tortura per me. Mi era familiare perché era sempre a battere quei prezzi aumentati e a chiedere quella maledetta tesserina. Non credo che fosse una persona malvagia. Probabilmente c’era del buono in lei, forse anche di più, ma la compassione sa fare molto male a volte, e compassione provo ogni volta che la vedo. Ed è ormai da qualche anno che la vedo, sempre un po’ più vecchia, anche se avrà a malapena quarant’anni neanche portati poi così male… frigidità nel corpo, frigidità nella mente, gli occhi che hanno cercato e stanno per ritirarsi (siamo già alle soglie del tempo massimo), la speranza persiste solo per onore di firma. Nessuna fede al dito. Dito nella piaga per la cassiera: i preservativi al centro del quadrato di persone. Dito accusatore nei miei confronti.

Chissà cosa frullava nella testa della poveretta. Forse invidia per ciò che ne avrei fatto, probabilmente rammarico per ciò che non avrebbe potuto fare. Era troppo tardi ormai? A che punto saresti arrivata per soddisfare la tua voglia di uomo? È inutile continuare la tua commedia! Perché devi soffrire tu? Ma soprattutto io, costretto a vederti ogni volta che devo mangiare?

Immagino tutta la sua vita, anzi per essere più preciso immagino gli ultimi quindici anni della sua vita di cassiera. All’inizio sembra un buon lavoro, si è a contatto con molte persone viene quasi naturale ridere e scherzare, poi questo diventa una maschera, si ha sempre lo stesso umore apparente, ciò che in principio si fa con piacere diventa falso, brutto e sconveniente. Con il passar degli anni ci si rende conto che le persone che gravitano nel micromondo del market non sono poi così tante, che il proprio culo non si è mai staccato da quella sedia, e soprattutto che il tempo è inesorabilmente passato e non tornerà più. La traccia più evidente, le ragnatele dove si uniscono le cosce della poverina.

Il pacchetto era sempre lì, supremo monito all’atto sessuale concepito alla maniera moderna. Tutti e quattro facevamo finta che fosse tutto normale. Tutto era normale, anche se non lo era.

Probabilmente sono arrossito, mi sentivo a disagio e la situazione si stava facendo sempre più penosa. La donna raccolse le buste e se ne andò, fu un sollievo, rimanemmo solo in tre. La bambina dietro di me mi guardava con aria confusa, forse non si era resa conto. Mi pentii di non aver preso nient’altro così avrei potuto dissimulare, passare temporaneamente inosservato. Ci avevo anche pensato, ma con un moto di orgoglio mi ero chiesto perché mai mi sarei dovuto vergognare, cosa che effettivamente non è successa. Sono state altre le situazioni in cui mi sono vergognato.

Era il mio turno e la cassiera mi chiese:
‒ Ha la tesserina?
Era cortese come al solito e ciò mi fece andare in bestia come sempre, come ogni volta. Perché chiamarla tesserina una cazzo di normalissima tessera: tessera, cazzo! Se aggiungiamo il fatto che la tessera non l’ho mai avuta…
‒ No. ‒ risposi gentilmente.

Sapevo che la bambina mi guardava eppure non aveva capito. Probabilmente non era ancora a conoscenza dei segreti della natura. Avrà avuto sette, otto anni? Mi ricordo che quando avevo la sua età, non so se sia un bene, già conoscevo i dettagli della procreazione, del rapporto sessuale in senso stretto e lato. Andavo in giro nel mio paese di origine con un paio di bambinetti piuttosto smaliziati, alcuni pensavano esclusivamente al momento in cui la propria asticella avrebbe dato i primi frutti. Avevo sette anni quando con un mio vicino di casa, che era di due anni più piccolo di me, stavamo giocando nella piazza vicino alle nostre abitazioni e scorgemmo un gruppo di ragazzi del mio vicinato che si accalcavano in un angolo riparato.

Era estate, pomeriggio, e dalle mie parti sa far molto caldo. Quando ci siamo avvicinati, i ragazzi ci hanno accolto a braccia aperte contenti di poterci mostrare il bottino di una battuta di caccia in qualche angolo del paese. Ci mostrarono quindi un giornale pornografico. Dapprima non capii, poi ricordando anche i discorsi dei più grandi cominciai a orientarmi. C’erano due uomini, uno che camminava in un sentiero, l’altro con un cappello da cow-boy osservava dalla cima della rupe, come volesse tendergli un’imboscata. Non ricordo lo sviluppo della trama ma dopo un paio di pagine già i due presero a penetrarsi in parecchie posizioni. Indossavano solo stivali con gli speroni. La cosa che mi colpì non fu tanto il rapporto tra due uomini quanto il primo piano di un membro bagnato dal suo fluido. Al che, io chiesi all’amico più grande come mai si fosse pisciato addosso, e questi rispose senza neanche prendermi troppo in giro:

‒ Quella non è piscia, è sburro!

Avevo ormai capito che a una certa età avrei anche io sburrato. È significativo anche il fatto che quella non fu la mia unica esperienza con i giornalini pornografici. Ne ebbi parecchie altre. Un altro episodio, di cui vado molto fiero, per rimanere in tema di pornografia, si svolse qualche anno più tardi allorché io e i miei coetanei ci preparavamo alla prima comunione. Dovevamo confessarci, non ricordo se come prova o realmente. Fatto sta che il giorno prima, io e la cricca di scalmanati avevamo trovato un giornalino porno nascosto dietro ad una pianta di datteri proprio nel piazzale di chiesa, al che, risate e schiamazzi. Quando entrai in chiesa. un prete che non avevo mai visto si incaricò di purificare la mia anima. Mi disse di aprirmi a lui.

‒ Ogni tanto dico bugie. ‒ gli dissi.
‒ Rubi?
‒ Ogni tanto, a mamma, qualche spicciolo

Niente riguardo masturbazione bestemmie e cose del genere. D’altronde ero troppo piccolo per queste cose, per cui iniziò la sua predica. Un vero e proprio lavaggio del cervello mi fece quel pretaccio miserabile, blaterando qualcosa tipo; perdono in cambio di comportamenti decorosi. Ero stupefatto dalla potenza del suo sermone, mi sentivo sporco dentro e, cosa meravigliosa, non capivo niente di quello che diceva. Il bello era, questo l’ho capito dopo, che recitava un discorso che probabilmente aveva ripetuto un po’ a tutti nel corso della sua storia di prete miserabile e modesto. Cominciai a pensare che la salvezza mi fosse pregiudicata visto che pareva fossi un mostro. Era come se non si stesse riferendo a me, era portavoce di una verità assoluta. Mi concesse l’assoluzione dopo un po’ che parlava, vi assicuro che parlò a lungo, e mi punì con qualche ave Maria e Padre nostro.

Mi allontanai confuso, mi sedetti nella panca e recitai di cuore le preghiere perché mi sentivo veramente puro. Non avrei mai più detto una parolaccia in vita mia. Quando finii, mi diressi alla luce della piazza e aspettai il mio amico che proprio in quel momento veniva operato al cervello dallo stesso prete; bambino nuovo in un mondo nuovo. Quando finì, mi raggiunse e ci sedemmo di fronte al portone della chiesa. Sembrava anche più scosso di me. I minuti passarono e la noia si impose a noi senza farsi vedere: dovevamo fare qualcosa. Ma cosa?

‒ Che facciamo? ‒ chiesi.
- Non lo so.
Qualche attimo di silenzio.
‒ Andiamo a vedere il giornalino? ‒ dissi senza neanche pensarci. Mi guardò e i suoi occhi erano sofferenti.
‒ No… dai… no… ‒ rispose senza guardarmi.
Mi resi conto che era ancora troppo presto per tornare alla vita di tutti i giorni. Quel giornalino non lo guardammo più. Morale? Nessuna.

Tornando al discorso del market, la bambina accanto a me sicuramente non aveva ricevuto un’educazione sessuale paragonabile alla mia, forse per lei è iniziato tutto così. Forse è tornata a casa e avrà chiesto alla madre qualcosa su quella scatola di profilattici, ricevendo una risposta per niente soddisfacente. Magari ora è diventata una pornostar di successo, o da allora ha cominciato a molestare i suoi compagni di scuola: in uno di questi casi la mia presenza lì in quel momento non sarebbe stata vana.

Ricordo qualcosa riguardo le risposte vaghe, per niente soddisfacenti. Ero molto piccolo e in casa c’era un libro sull’uomo preistorico. Mi piaceva da impazzire sfogliarlo, tutto pieno di illustrazioni di scimmie a quattro zampe che, pagina dopo pagina, diventavano più alte meno pelose e stavano sempre più ritte. Ero ancora troppo piccolo per leggere. Il problema era che a scuola la maestra, che il sabato mattina faceva religione, ci raccontò quella storiella famosa che parla di un tipo strano chiamato Dio che un giorno annoiandosi da morire decise di creare l’universo. Il primo giorno creò una cosa, il secondo un’altra, e così si divertì fino al settimo quando si godette il meritato riposo.

Durante questo delirio di onnipotenza fu creato l’uomo, in via ancora sperimentale, nel numero di due esemplari, per giunta a sua immagine e somiglianza. Ero dunque libero di figurarmi Dio come un onnipotente aye-aye sugli alberi del Madagascar? Vivevo in uno stato di contraddizione riguardante le origini di tutto. Scimmie o Dio? Ero troppo piccolo per risolvere il problema da solo per cui chiesi aiuto a mia madre.

‒ Mamma, ma noi siamo stati creati da Dio o ci siamo trasformati dalle scimmie come nel libro?

Mi rispose che erano un po’ tutte e due le cose. Non fui soddisfatto e tenni dentro per parecchi anni questa contraddizione. Non ricordo chi mi disse che queste erano come dire… metafore… METAFORE!?! E ancora… cose figurate… COSE FIGURATE!?! Ora ricordo chi ebbe il coraggio di dire a un ragazzino dilaniato dalle curiosità queste cose disgustose: la mia catechista della cresima.

Stavamo leggendo dal libricino del catechismo, dove ci sono tutte quelle sconcerie tipo; buoni samaritani, compendi con preghiere, storie di nuovo e vecchio testamento. Questa stupida ci faceva leggere le storielle anche perché, pur essendo dodicenni, già eravamo più eruditi di lei. Mi toccò leggere la storia di Abramo che ricevendo ordini da Dio fu costretto a scegliere tra la fede e suo figlio e quello, all’apice della propria stoltezza, scelse la fede. Portò suo figlio Isacco al sacrificio ,e proprio quando stava per sgozzarlo come un agnello, un angelo gli fermò la mano e gli disse che a Dio non passano inosservati questi gesti bellissimi e che poteva pure tenersi suo figlio.

Quando finii di leggere, ero confuso. Chiesi se Dio poteva prevedere il futuro, cioè se aveva bisogno di questa prova per capire se Abramo avesse effettivamente fede. Proviamo a riassumere la discussione:

‒ Ma Dio lo sapeva che Abramo avrebbe sacrificato suo figlio? ‒ chiesi.
‒ Certo ‒ mi rispose la stupida: fede cieca.
‒ Allora perché glielo ha fatto fare, visto che lo sapeva?
Parve esitare poi disse secca:
‒ Era una prova.

Il bello era che alcune compagne annuirono compiaciute, nessuno seguitò a martellare la catechista con domande a cascata, nessuno avrebbe mai capito niente di religione. Forse per essere religiosi bisogna non capirci niente. Mi sentii solo. Era una prova, che aggiungere… Ora mi fido solo delle prove sperimentali effettuate controllando attentamente tutti i parametri in gioco.

La commessa passò il pacchetto nel lettore ottico, pagai e uscii senza guardarmi indietro. Tolsi la plastica della confezione appena fuori, perché era troppo ingombrante e non volevo incontrare nessuno in quel momento. Buttai la plastica, misi il pacchetto in tasca dirigendomi verso casa. Ero libero.










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